Il Wapiti

Ho trovato questo sasso da oltre 8 kg. in un campo abbandonato, durante una delle mie passeggiate per i boschi del mio Appennino.

Ero a metà del mio percorso e il movimento di uno scoiattolo ha attirato la mia attenzione . Poco lontano da dove è passato saettando, spuntava questo sasso a forma triangolare. L’ho liberato dagli arbusti di mora che l’avevano colonizzato e, nonostante la distanza che ancora mi divideva dal campo in cui avevo parcheggiato l’auto, non ho saputo resistere alla tentazione. L’ho messo nello zaino che sempre porto con me nelle escursioni. Devo dire che le salite sono diventante ancora più pesanti e lente ma, passo dopo passo, sono arrivata alla fine del mio percorso. Mentre camminavo lentamente sul viottolo di un crinale ho sentito un fruscio nei cespugli sottostanti e ho visto uscire dalla macchia un bellissimo esemplare di cervo, disturbato dalla mia cagnolina meticcia che ha ritrovato per l’occasione un istinto remoto di cane da caccia.

Mi è sembrato ben più di un suggerimento o di una sincronicità per come la intendeva Jung. Per questo, ho dipinto il cervo canadese denominato Wapiti dagli indiani d’America della tribù degli Algonchini. Da sempre mi sono interessata a queste tribù, per il loro contatto religioso con la natura e i valori che li animavano. I pellirossa sono riapparsi a più riprese nella mia vita, negli ultimi anni quali primi utilizzatori delle piante poi denominate “Fiori Californiani”.

Il Wapiti era un animale totem tra i più amati, simboleggiava la fratellanza tra i membri della stessa razza , la potenza intesa come resistenza allo sforzo, la determinazione e il coraggio, la perfetta conoscenza dei propri punti forti e deboli. Aveva come unici nemici temibili l’uomo e il puma e, se purtroppo nulla poteva nei confronti del primo, al contrario contrapponeva alla forza e allo scatto nella breve distanza del secondo, la propria determinazione e resistenza alla fatica nei lunghi percorsi.

Dipingevo e vedevo emergere il muso del wapiti, il corpo teso nel bramito con il quale richiama a sè il branco o protegge il suo territorio. Si affollavano nella mia mente una dopo l’altra le domande legate a questo possente animale.

La competizione, che il Wapiti non conosce, quanto serve al genere umano? E’ legata all’ egoismo o all’invidia? Perché succede che possiamo sentirci separati gli uni dagli altri al punto da non riconoscere nell’altro le nostre stesse pulsioni o necessità? Come esprimere la resistenza allo sforzo e alle esperienze pesanti della vita, senza perdere determinazione?

Imparando dal wapiti che, consapevole della propria resistenza, non smette di correre e sceglie i percorsi che gli sono congeniali, per mettere in difficoltà e il puma che lo caccia da tempo immemore.

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